L’azione di responsabilità dell’organo di controllo nelle società di capitali

L’azione di responsabilità nei confronti dei componenti di un collegio sindacale di una società di capitali necessita della prova, oltre che del mancato rispetto degli obblighi di vigilanza inerenti la loro carica, della dimostrazione di quale sia stata l’incidenza dannosa che  abbia avuto tale condotta; non può infatti derivare dalla mera trasposizione della responsabilità attribuibile all’organo amministrativo ma presuppone sempre l’esistenza di un nesso di causalità tra danni accertati in capo alla società e violazioni addebitate ai sindaci che possono, quindi, essere chiamati a rispondere delle perdite patrimoniali sofferte dalla società solo nella misura ad essi direttamente imputabili.

Ai sensi dell’art. 2407 c.c. la responsabilità nella quale incorre l’organo di controllo e di vigilanza non può mai prescindere dall’elemento soggettivo del dolo o della colpa: non vi è alcun riconoscimento di una forma di responsabilità oggettiva quanto, invece, la assoluta necessità che l’attribuzione del danno-evento ai sindaci avvenga in virtù dello stretto collegamento eziologico tra la condotta attiva od omissiva e l’evento, secondo i principi generali in materia di responsabilità.

Tale principio si è consolidato nelle recenti pronunce della  Suprema Corte, la quale ha in più occasioni precisato che: “L’ipotesi del coinvolgimento dei sindaci non può fondarsi, acriticamente, soltanto sulla loro posizione di garanzia e discendere, tout court, dal mancato esercizio dei doveri di controllo, ma postula – per indiscussa giurisprudenza di legittimità – l’esistenza di elementi sintomatici, dotati del necessario spessore indiziario, della loro partecipazione, in qualsiasi modo, all’attività degli amministratori ovvero di valide ragioni che inducano a ritenere che l’omesso controllo abbia avuto effettiva incidenza causale nella commissione del reato da parte degli amministratori” (cfr. Cass. Sez. 5, n. 15360 del 21/04/2010) e, ancora, che: “Al fine dell’affermazione della responsabilità dei sindaci di società per il loro illegittimo comportamento omissivo, è necessario accertare il nesso causale – la cui prova spetta al danneggiato – tra il comportamento illegittimo dei sindaci e le conseguenze che ne siano derivate, a tal fine occorrendo verificare che un diverso e più diligente comportamento dei sindaci nell’esercizio dei loro compiti sarebbe stato idoneo ad evitare le disastrose conseguenze degli illeciti compiuti dagli amministratori (Cass. civ. Sez. I, 29/10/2013, n. 24362).

Tali principi sono stati recentemente ribaditi nella sentenza Cass. civ. Sez. I, 11-12-2020, n. 28357, laddove codesta Suprema Corte ha ulteriormente precisato che: “Come in tutti i casi di concorso omissivo nel fatto illecito altrui, è però altrettanto certo che la fattispecie dell’art. 2407 c.c. richiede la prova di tutti gli elementi costitutivi del giudizio di responsabilità. E quindi: (i) dell’inerzia del sindaco rispetto ai propri doveri di controllo; (ii) dell’evento da associare alla conseguenza pregiudizievole derivante dalla condotta dell’amministratore (o, come nella specie, del liquidatore); (iii) del nesso causale, da considerare esistente ove il regolare svolgimento dell’attività di controllo del sindaco avrebbe potuto impedire o limitare il danno. Il nesso, in particolare, va provato da chi agisce in responsabilità nello specifico senso che l’omessa vigilanza è causa del danno se, in base a un ragionamento controfattuale ipotetico, l’attivazione del controllo lo avrebbe ragionevolmente evitato (o limitato). Il sindaco non risponde, cioè, in modo automatico per ogni fatto dannoso che si sia determinato pendente societate, quasi avesse rispetto a questo una posizione generale di garanzia. Egli risponde ove sia possibile dire che, se si fosse attivato utilmente (come suo dovere) in base ai poteri di vigilanza che l’ordinamento gli conferisce e alla diligenza che l’ordinamento pretende, il danno sarebbe stato evitato”.

Tali principi sono stati recepiti dai Giudice di merito, di fronte ai quali molto spesso le curatele fallimentari instaurano giudizi di responsabilità sia nei confronti dell’organo gestorio delle società fallite che dei componenti del collegio sindacale che, seppur estranei agli atti di mala gestio posti in essere dall’amministratore, vengono chiamati in causa presupponendo a loro carico una sorta di responsabilità oggettiva.