Lente d’ingrandimento sul comportamento del danneggiato nel caso di danni provocati
da cose in custodia

L’art. 2051 c.c., nell’affermare la responsabilità del custode della cosa per i danni da questa cagionati, individua un criterio di imputazione che prescinde da qualsivoglia connotato di colpa, operando sul piano oggettivo dell’accertamento del rapporto causale tra la cosa e l’evento dannoso e della ricorrenza del caso fortuito, quale unico elemento idoneo ad elidere tale rapporto causale.

La più attenta giurisprudenza di merito ha osservato come il riparto probatorio sia, peraltro, agevolato per chi agisce in giudizio, considerato che per tale soggetto è sufficiente provare che il danno lamentato derivi causalmente dalla cosa da altri custodita, senza necessità di dimostrare la condotta, commissiva od omissiva, del custode, su cui grava invece l’onere probatorio del caso fortuito.

Nel concetto di “caso fortuito”, tuttavia, ben può rientrare anche il comportamento del danneggiato.

È quanto ribadito dal Tribunale di Roma all’esito della controversia in cui l’attore aveva convenuto in giudizio la società di gestione del parcheggio di un centro commerciale, per ottenerne la condanna al risarcimento dei danni dallo stesso subiti allorquando, mentre si trovava a bordo del proprio ciclomotore, avvicinandosi all’ingresso al parcheggio “essendo la sbarra alzata, nell’accedere e transitare nel varco, veniva improvvisamente colpito in testa dalla sbarra repentinamente ed inaspettatamente abbassatasi”.

In siffatta ipotesi, il Tribunale di Roma ha definito “negligente e distratta la condotta del ciclomotorista” (che, nella specie, oltre a non essersi avveduto che non era quello il passaggio destinato a pedoni e ciclomotori, non aveva neppure atteso l’abbassamento della sbarra automatica, accodandosi al veicolo che lo precedeva) e “tale da assorbire su di sé l’intera causalità del sinistro oggetto di causa ditalchè, è in radice elisa ed inconfigurabile alcuna efficienza causale nella determinazione dell’evento-danno a carico della società di gestione del parcheggio” e, quindi, concluso che “il comportamento colposo del conducente del motociclo integra il c.d. fortuito incidentale idoneo alla interruzione del nesso causale con la res in custodia della convenuta” (cfr. sent. n. 18150/2016, ma cfr. anche, più recentemente, Cass. civ. n. 9694/2020).

Se ne deduce che, quanto più la situazione di possibile danno sia suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione, da parte del danneggiato, delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nella causazione del danno, fino a rendere possibile che una tale condotta interrompa il nesso eziologico tra la cosa in custodia e l’evento dannoso, connotandosi per l’esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro.

Ne deriva il principio di diritto sovente ribadito dalla Corte di legittimità, secondo cui: “in tema di danni causati da cose in custodia, il fatto colposo della vittima può escludere il nesso di causa tra la cosa e il danno, in misura tanto maggiore, quanto più il pericolo era prevedibile ed evitabile. E’, pertanto, possibile anche che la distrazione o imprudenza della vittima siano di tale intensità o di tale anomalia, da porsi quale fattore causale esclusivo nella produzione dell’evento” (Cass. civ. n. 26258/2019 e n. 2482/2018).