Nell’ambito del contenzioso riguardante gli Istituti di Credito vengono sollevate con sempre maggior frequenza, sia nei procedimenti di accertamento e/o ripetizione di indebito se promossi in via preventiva dal correntista debitore, o di opposizione a decreto ingiuntivo se incardinati a seguito di azione monitoria del soggetto creditore, eccezioni relative alla nullità della fideiussione rilasciati dai garanti dell’obbligata principale (nella maggior parte dei casi, una società) per violazione della cosiddetta “normativa antitrust”, in quanto il negozio fideiussorio azionato dalla Banca risulterebbe conforme allo schema di contratto predisposto dall’ABI nell’ottobre del 2002, oggetto di parziale censura da parte della Banca d’Italia con il provvedimento n. B423 del 2 maggio 2005, e come tale, perciò stesso, nullo.

L’eccezione prende le mosse dalla pronunzia della Suprema Corte n. 29810/2017, che ha inoltre statuito, quale conseguenza dell’accertata violazione della normativa antitrust, la nullità in toto del negozio fideiussorio; successive pronunzie della Cassazione hanno poi evidenziato “ la natura privilegiata” del provvedimento di accertamento dell’illecito anticoncorrenziale emesso dal’Autorità Garante per la Concorrenza ed il Mercato ( Cass. 13846/2019) e la rilevabilità officiosa dell’eccezione di nullità della fideiussione anche in sede di legittimità purchè sussistano gli elementi necessari per poterla rilevare sulla base di dati fattuali già acquisiti e, nel rispetto del contraddittorio (Cass. 4175/2020).

La giurisprudenza di merito appare invece meno granitica, ed emergono numerose pronunzie favorevoli ad una diversa ricostruzione della fattispecie e delle conseguenze dell’accertata nullità.

La tesi della nullità radicale della fideiussione, laddove si accerti che il negozio fideiussorio corrisponda allo schema ABI frutto dell’illecito anticoncorrenziale, e da cui deriverebbe la nullità della pretesa creditoria azionata dalla Banca, non appare infatti scevra da possibili censure, in quanto, spesso,

  1. manca la prova che la fideiussione ritenuta nulla avesse effettivamente un carattere uniforme, rispetto al modello Abi di contratto fideiussorio dichiarato “anticoncorrenziale” ;
  2. è carente la prova che la fideiussione ritenuta nulla, costituisse effettiva applicazione dell’intesa anticoncorrenziale “ a monte” ; al riguardo, infatti ( come precisato anche da Cass. 24044/2019, Trib. Roma n. 9354 /2019, CdAppello di Milano n. 1966/2020, Trib. di Perugia n. 845/2020, CdAppello di Napoli n. 98/2020 ) va ribadito che l’’illiceità delle intese anticoncorrenziali, seppur accertate dalla Banca d’Italia, non è idonea a determinare la nullità dell’intero contratto stipulato a valle, in primis perché non vi è prova che le intese di cui sopra siano confluite nel contratto in questione ed in secondo luogo poiché non vi è prova della lesione della libertà contrattuale del fideiussore;
  3. da ultimo ove si possa configurare un qualche vizio nelle fideiussioni in esame, la sanzione alla violazione della normativa anticoncorrenziale sarebbe esclusivamente di natura risarcitoria, ferma restando la necessità di dimostrare un nesso di dipendenza delle fideiussioni con la deliberazione dell’ABI ovvero un collegamento negoziale nel suo significato tecnico  tra l’atto frutto dell’illecito anticoncorrenziale ed il negozio fideiussorio, e tenuto conto che anche ove venga dimostrato che la Banca si sia uniformata, nella stipula del negozio fideiussorio, ciò non appare comunque sufficiente a privare il successivo contratto a valle ( quindi la fideiussione azionata dalla Banca e sottoscritta dagli opponenti ) di una autonoma ragione pratica meritevole di tutela da parte dell’ordinamento.