Per la prima volta da più di trent’anni la crescita cinese sarà al di sotto della media asiatica

Gli ultimi dati sull’economia cinese ci dicono che nel terzo trimestre (luglio-settembre): era atteso un +5,2% del Pil per questo trimestre che invece si è accertato al +4,9% ai minimi degli ultimi 12 mesi, dopo il +7.9% del secondo trimestre. Ciò significa incontrovertibilmente che il Dragone ha rallentato la sua corsa. Inoltre questo fenomeno non è da considerarsi come transitorio, al contrario, con tutta probabilità il modello economico cinese cambierà strutturalmente. Gli effetti si avvertiranno in tutto il mondo, non escluso il Vecchio Continente, tra cui chi ne subirà maggiormente le conseguenze sarà la Germania, non tanto per il calo delle esportazioni quanto per l’impatto negativo che questo avrà sulla “catena di valore” ormai molto integrata tra aziende esportatrici tedesche e aziende cinesi. Dato il ruolo dell’economia tedesca all’interno della comunità europea il rischio di un periodo cupo in arrivo per la Germania è indice di problemi per tutta l’Europa e quindi anche per l’Italia.

Il suggerimento di Lars Feld, direttore del Walter Eucken Institute di Friburgo, professore di economia e membro dal 2011 del Consiglio degli Esperti Economici tedesco, il think tank che al picco della crisi dell’Euro propose la creazione di un Fondo Europeo di redenzione per la risoluzione del problema del debito pubblico in eccesso al 60% del debito/Pil, è quello di ridurre l’intervento della mano dello stato nell’economia, quindi assolutamente il debito pubblico non va aumentato, ma invece bisogna incentivare le imprese privatizzate ad investire di più. Avverte che questo è ancor più vero per l’Italia che non riesce a rinvigorire la crescita. «Da quando è entrata nell’Euro, in media l’Italia ha registrato una crescita negativa della produttività e il contributo del progresso tecnologico sulla crescita è calato invece di salire». Dichiara, Feld, severo con l’Italia che «deve tagliare le tasse sul lavoro e sulle imprese riducendo la spesa pubblica e persino il numero dei dipendenti pubblici, e deve al tempo stesso velocizzare il cammino delle riforme strutturali, soprattutto quella del mercato del lavoro che tra le tante cose ha frenato la crescita dimensionale delle PMI».

Se il rallentamento della crescita cinese desta preoccupazioni in Europa, ciò è sicuramente più vero in patria, dove Xi Jinping deve affrontare sfide complesse che lo indeboliscono e di cui spesso è una delle cause. La prima è una questione geopolitica ed è rappresentata dal suo impegno al fianco di Vladimir Putin nella guerra catastrofica in Ucraina. Giusto due settimane prima dell’invasione Putin e Xi hanno firmato a Pechino una dichiarazione di amicizia “senza limiti”, ma oggi la Russia di Putin è diventata motivo di imbarazzo e di perturbazione ostacolando i programmi di Pechino.

La seconda sfida riguarda, appunto, l’economia: la Cina quest’anno farà registrare appena il 2,8 per cento di crescita, la metà rispetto all’obiettivo fissato dal governo e soprattutto al di sotto della media asiatica per la prima volta da più di trent’anni. Tra le cause di questo rallentamento ci sono la politica “zero covid”, le conseguenze della guerra in Ucraina sull’economia mondiale ma anche le scelte ideologiche di Pechino a favore del settore statale e a spese di quello privato, in ambito sia nazionale sia estero. Tutti aspettano di vedere in che direzione si muoverà Xi il 16 ottobre, data in cui si aprirà il ventesimo congresso del Partito comunista cinese, anche se a tal riguardo non c’è da aspettarsi nessun colpo di scena inatteso; infatti, non esiste alcun dubbio sul fatto che Xi Jinping, numero uno cinese da dieci anni, otterrà un terzo mandato quinquennale, un fatto inedito nei 46 anni successivi alla morte di Mao Zedong. Mancheranno le sorprese che ci si aspetterebbero da un classico congresso politico, ma l’intervento di Xi sarà comunque sviscerato, soprattutto considerando il delicato momento globale.